Walter Guadagnini

E’ ancora in pieno divenire il lavoro di Giovanna Sottini, una pittura concentrata tanto sulle iconografie quanto sulla specificità della lingua, di uno strumentario tecnico concepito come autentico nucleo espressivo, ragione primaria dell’agire. La quotidianità delle situazioni che caratterizzano le opere della giovane artista viene posta in discussione, infatti, proprio da una pittura ossessiva, che giunge nelle prove migliori a trasformare corpi e oggetti in puri pattern decorativi, inducendo lo spettatore a interrogarsi sulla natura dell’immagine,  senza rinunciare a una piacevolezza che lascia trasparire il piacere stesso dell’azione pittorica. Ancora ricca di rimandi a precedenti storici ben individuabili, soprattutto nella concezione del rapporto tra pittura e fotografia, la ricerca di Giovanna Sottini lascia immaginare nelle sue prove più recenti una maturazione i cui approdi non sono oggi ancora prevedibili, ma che è facile intuire saranno improntati a un’ ulteriore approfondimento di queste premesse, in vista di una sempre maggiore autonomia espressiva. E che non dovranno perdere la freschezza e la felicità del fare che emerge da queste prime prove.

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Giovanna Galli

Rivivono sulle tele di Giovanna Sottini momenti vissuti intensamente, vibranti di energia, che sono rimasti impressi non solo nello sguardo ma anche nell’anima della giovane pittrice. Attraverso un filtro psichedelico che intensifica la gamma cromatica, che vira l’effetto luminoso, che amplifica il respiro compositivo, l’artista ci sembra ricreare in ogni sua opera delle istantanee visive, brevi spezzoni narrativi caratterizzati dallo stesso stile rapido, ritmato e frammentario dei video clip.

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Elena Abbiatici

Nel mondo dell’artista ci si entra se disposti al viaggio e a superare le proprie formae mentis. Ci si entra se si accoglie il diverso, si ha sete di incontrarlo e sperimentarlo, se ci si predispone all’ascolto, al dialogo, all’integrazione, all’arricchimento, nella volontà di svelare di ogni realtà le sue radici, la sua storia, le sue ragioni.

Il suo iter di creazione procede per stratificazioni, gradi, passaggi, supporti, è repertorio di ricordi e rielaborazioni grafiche mentali, comunica riflessioni che dipanano dal reale verso una dimensione più sospesa ma più vera. La matrice di partenza è il viaggio, ciò che ne consegue il prodotto iconografico – magistrale e paziente – dell’analisi suggerita.

Il viaggio nella società contemporanea è sovente una delle migliori occasioni per camminare e giungere ad uno stato di ipnosi, ad una spaesante pace interiore in grado di farci prendere contatto con la parte più inconscia del territorio, a scoprire e scoprirsi, pensare, nutrire la mente di colori, suoni, odori della strada. Ed è il camminare a produrre luoghi, il camminare: un’azione che è “simultaneamente atto percettivo e atto creativo… lettura e scrittura del territorio”(Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica), atto di celebrazione del paesaggio, una sorta di pellegrinaggio rituale. La strada che Giovanna ha scelto di per- correre è la strada dell’esperienza, la strada di chi accetta il rischio, si mette alla prova, vuole riconoscere se stesso dal confronto con altri individui culture religioni costumi architetture sovrastrutture…

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Francesca Sottini

Partire…
il migliore dei verbi per suggerire l’invito al viaggio e per augurare nuove esperienze. E’ il comandamento per eccellenza in una famiglia come la nostra che ha saputo instillare nelle nostre vene quella visione autonoma delle cose che permette di far proprio anche il filo d’erba. Voglio raccontare queste opere dal punto di vista (quasi) biografico, svelando i moti interiori che hanno permesso la loro creazione perché niente di ciò che è stato fatto è disgiunto da un turbamento, da un’emozione. Il primo momento è a cavallo tra le scuole superiori e l’università, un periodo particolare ma pregno di strascichi post-adolescenziali preziosi e significativi. Tre stagioni estive passate a Mykonos, l’ “isola che non c’è”, dove colleziona stimoli sensoriali e distorsioni percettive che le permettono di raccogliere materiale sufficiente per una piccola serie di quattro opere. Quattro fotogrammi delineati da alti margini bianchi che amplificano l’effetto diapositiva. Flash, simboli, intrusioni mnemoniche nella Babele del divertimento oggi: disco, dj, ketamina e visioni mattutine posteriori! Un periodo simbolista alla Baudelaire. La tecnica usata finora è sempre l’olio al quale è molto affezionata perché le permette di stenderlo e ristenderlo fino a quando si arrende all’inafferrabilità della perfezione. E’ quasi un gioco sapere che nessuna pennellata è finita.

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Claudio Spadoni

Premessa 

Non è certo per assecondare la tendenza giovanilistica, in voga ormai da tempo, che il Premio Marina di Ravenna ha adottato da due anni la scelta di riservare la manifestazione a giovani pittori. Una linea che solo in parte si discosta dalla lunga tradizione del “Marina”, peraltro opportunamente rimodellato rispetto alla formula iniziale dell’estemporanea, che aveva mostrato col passare degli anni tutta la sua inadeguatezza. Com’è accaduto, peraltro, a tutte le analoghe manifestazioni sopravvissute anche alla tabula rasa sessantottesca.

La scelta di un concorso riservato a pittori ‘under 40’  risponde piuttosto ad una duplice esigenza: quella di non proseguire con ulteriori e dunque un pò scontati omaggi a figure già ampiamente consacrate, e insieme la determinazione di puntare sulle continuità della pittura, sia pure intesa in tutte le sue possibili estensioni tecniche. Soprattutto per questo secondo aspetto, la fedeltà alla tradizione del ‘Premio’ intende trovare nel lavoro di giovani artisti quella peculiarità che non contraddice l’esigenza di tenere lo sguardo puntato sul nostro tempo.

In altri termini, su quella condizione riassunta da una parola chiave come ‘il contemporaneo’, spesa frequentemente a rischio di approssimazioni ed equivoci anche grossolani. La scommessa più forte, s’intende bene, sta proprio nella scelta di restringere il campo alla pittura per saggiarne la tenuta a fronte di tutti i nuovi media espressivi e le tecniche da ‘tradizione del nuovo’. Che, come appare evidente, sono tornate ad accogliere il consenso quasi incondizionato dell’ufficialità artistica dopo il ‘ribaltone’ operato nei famosi – o famigerati, a seconda della opinioni – anni Ottanta: dalla Transavanguardia ai Nuovi Selvaggi, e affini, per intenderci, che hanno tenuto banco per una manciata d’anni, prima di subire un marcato ridimensionamento, fatte salve l debite eccezioni, quasi inevitabile.

In fondo, la scelta della pratica pittorica per un giovane d’oggi sta a significare una coraggiosa fiducia nella possibilità d’essere comunque interprete del proprio tempo, ma in una continuità di memoria che è insieme consapevolezza dei valori non surrogabili che la pittura rappresenta.

Semmai, è proprio il confronto con lo sterminato orizzonte della storia della pittura stessa a rendere ancora più arduo ogni confronto, nel momento in cui si è quasi del tutto dismessa l’abitudine a ‘vedere’ e a intendere quanto l’opera dipinta può ancora esprimere.

Questa seconda edizione del ‘Marina’ è dunque quanto di più lontano da una chiamata a raccolta di nostalgici; piuttosto, si tratta di giovani che non hanno ceduto alle lusinghe di strade diverse, e magari, almeno all’apparenza, più agevoli.

Mi sembra dunque un’occasione propizia, anche per un museo, il MAR, che premia con una mostra i cinque artisti selezionati, per dimostrare una volta di più come la storia e attualità possano non solo convivere ma risultare reciprocamente necessari in un legame di consequenzialità. Che poi questi giovani pittori, la coreana Bo Mi Kim, il fiorentino Sandro Palmieri, il varesino Marco Pariani, Marina Scardacciu di Sassari, Giovanna Sottini di Brescia, siano quanto più diversi fra loro, mi pare buon segno. E se non è più la geografia a caratterizzare i loro modi espressivi – come lungo i secoli è stato proprio delle ‘scuole’ pittoriche, soprattutto italiane – ma sono ormai da molto tempo i portati di una internazionalità della cultura e un diffuso eclettismo, come si dice, ad affiorare anche sulla superficie storica della pittura, lo si dovrà accogliere come una conferma di consapevolezza. Così come certe tracce rivelatrici, magari, di echi ritornanti di una memoria storica non del tutto svaporata: anche questo un segno certo di prerogative che rimandano alle ragioni prime tuttora sostenibili della pittura.