Premessa 

Claudio Spadoni

 

Non è certo per assecondare la tendenza giovanilistica, in voga ormai da tempo, che il Premio Marina di Ravenna ha adottato da due anni la scelta di riservare la manifestazione a giovani pittori. Una linea che solo in parte si discosta dalla lunga tradizione del “Marina”, peraltro opportunamente rimodellato rispetto alla formula iniziale dell’estemporanea, che aveva mostrato col passare degli anni tutta la sua inadeguatezza. Com’è accaduto, peraltro, a tutte le analoghe manifestazioni sopravvissute anche alla tabula rasa sessantottesca.

La scelta di un concorso riservato a pittori ‘under 40’  risponde piuttosto ad una duplice esigenza: quella di non proseguire con ulteriori e dunque un pò scontati omaggi a figure già ampiamente consacrate, e insieme la determinazione di puntare sulle continuità della pittura, sia pure intesa in tutte le sue possibili estensioni tecniche. Soprattutto per questo secondo aspetto, la fedeltà alla tradizione del ‘Premio’ intende trovare nel lavoro di giovani artisti quella peculiarità che non contraddice l’esigenza di tenere lo sguardo puntato sul nostro tempo.

In altri termini, su quella condizione riassunta da una parola chiave come ‘il contemporaneo’, spesa frequentemente a rischio di approssimazioni ed equivoci anche grossolani. La scommessa più forte, s’intende bene, sta proprio nella scelta di restringere il campo alla pittura per saggiarne la tenuta a fronte di tutti i nuovi media espressivi e le tecniche da ‘tradizione del nuovo’. Che, come appare evidente, sono tornate ad accogliere il consenso quasi incondizionato dell’ufficialità artistica dopo il ‘ribaltone’ operato nei famosi – o famigerati, a seconda della opinioni – anni Ottanta: dalla Transavanguardia ai Nuovi Selvaggi, e affini, per intenderci, che hanno tenuto banco per una manciata d’anni, prima di subire un marcato ridimensionamento, fatte salve l debite eccezioni, quasi inevitabile.

In fondo, la scelta della pratica pittorica per un giovane d’oggi sta a significare una coraggiosa fiducia nella possibilità d’essere comunque interprete del proprio tempo, ma in una continuità di memoria che è insieme consapevolezza dei valori non surrogabili che la pittura rappresenta.

Semmai, è proprio il confronto con lo sterminato orizzonte della storia della pittura stessa a rendere ancora più arduo ogni confronto, nel momento in cui si è quasi del tutto dismessa l’abitudine a ‘vedere’ e a intendere quanto l’opera dipinta può ancora esprimere.

Questa seconda edizione del ‘Marina’ è dunque quanto di più lontano da una chiamata a raccolta di nostalgici; piuttosto, si tratta di giovani che non hanno ceduto alle lusinghe di strade diverse, e magari, almeno all’apparenza, più agevoli.

Mi sembra dunque un’occasione propizia, anche per un museo, il MAR, che premia con una mostra i cinque artisti selezionati, per dimostrare una volta di più come la storia e attualità possano non solo convivere ma risultare reciprocamente necessari in un legame di consequenzialità. Che poi questi giovani pittori, la coreana Bo Mi Kim, il fiorentino Sandro Palmieri, il varesino Marco Pariani, Marina Scardacciu di Sassari, Giovanna Sottini di Brescia, siano quanto più diversi fra loro, mi pare buon segno. E se non è più la geografia a caratterizzare i loro modi espressivi – come lungo i secoli è stato proprio delle ‘scuole’ pittoriche, soprattutto italiane – ma sono ormai da molto tempo i portati di una internazionalità della cultura e un diffuso eclettismo, come si dice, ad affiorare anche sulla superficie storica della pittura, lo si dovrà accogliere come una conferma di consapevolezza. Così come certe tracce rivelatrici, magari, di echi ritornanti di una memoria storica non del tutto svaporata: anche questo un segno certo di prerogative che rimandano alle ragioni prime tuttora sostenibili della pittura.